Max Sirena: un sognatore con un obiettivo
Ospite del Festival della Mente di Sarzana, storico evento che ogni anno ospita nella cittadina ligure le migliori personalità del mondo scientifico, artistico e (talvolta) sportivo, Max Sirena, Team Director di Luna Rossa, parla della sue esperienza ventennale nel difficile gioco della Coppa America.
Intervistato da Michele Lupi, Max inizia considerando che il suo cognome, Sirena, in effetti pare un buon auspicio per qualcuno che come lui fa del mare la sua casa, oltre che la sua professione.
Max ha già vinto due volte la Coppa America, la prima nel 2010, con Oracle, quando Russel Coutts lo mise a capo del progetto dell’avveniristica ala rigida che consegnò la vittoria agli americani (“sarai il mio nuovo Murray Jones” gli disse Coutts, riferendosi ad un guru neozelandese della tecnologia velica), la seconda con Emirates Team New Zealand nel 2017, edizione che vide Luna Rossa costretta a ritirarsi e a “fondersi” col team neozelandese, dando ai Kiwi preziose informazioni tecnologiche (come ad esempio l’idea dei ciclisti e il sistema di controllo dei foil che sfruttava un buco nel regolamento) e persone, tra le quali ovviamente Max.
Nonostante ciò, l’ossessione, come la chiama lui, per la Coppa America non cessa di farsi sentire, e lui rimane il più concentrato possibile sul suo grande sogno, che è anche un obiettivo, di portare la coppa delle cento ghinee in patria, con Luna Rossa.
Avendo lavorato da molti anni con Luna Rossa (è a bordo dalla prima edizione, quindi dal 1997) ma anche con team internazionali, Max spiega che ci sono grandi differenze tra il modo di lavorare dei latini e degli anglosassoni. Il tallone d’Achille dei team latini, spiega Max, è che nonostante abbiano molti vantaggi a volte mancano un po’ di quella freddezza, di quel “killer instinct”, di quel metodo che invece caratterizza il modo di fare degli americani. Nell’ultima edizione ad esempio, ad Auckland, i tre team avversari si sono coalizzati contro Luna Rossa per toglierle un grande vantaggio, la possibilità di navigare senza volanti (cavi di oltre trenta metri, in acciaio, che collegano l’albero alla poppa dello scafo, per garantirne la stabilità) che avrebbe garantito all’imbarcazione italiana di avere circa un nodo, un nodo e mezzo di velocità in più.
Max accetta il verdetto del campo di regata, sebbene il risultato gli stia stretto: le regate infatti sono state molto più combattute di quello che può far pensare il 7-3 finale, con almeno due punti lasciati per strada per errori banali.
I neozelandesi, ci spiega, hanno concepito una barca migliore dal punto di vista aerodinamico, una creatura pensata solo per viaggiare in aria, mentre Luna Rossa era ancora un progetto ibrido pensato per entrambi gli elementi, aria e acqua.
Max rimane comunque orgoglioso dell’impresa, anche per come è arrivata: Luna Rossa era una barca italiana al 100%, in tutte le sue componenti, segno che il nostro paese, che spesso critichiamo, può vantare eccellenze incredibili in campo tecnologico, basti pensare che la Marina militare degli Stati Uniti compra tutte le sue bussole da una piccola azienda nelle Marche. La sfida di Luna Rossa è stata anche un grande segnale per il mondo quindi, per mostrare di cosa è capace la nostra industria tecnologica navale. La barca è stata realizzata presso la Persico Marine di Nembro, la meccatronica e i sistemi idraulici sono di Cariboni (che lavorava anche per i Kiwi), le scotte sono della Gottifredi Maffioli, e tante, tantissime altre realtà tecnologiche hanno contribuito al successo della barca italiana, comunque storico.
Max è stato confermato il team director anche per la prossima sfida, e proprio riguardo al suo ruolo ha spiegato quanto sia difficile gestire centoventi persone, tutte con le loro necessità, le loro esigenze, e spesso anche personalità molto forti, perchè sia nel design team che nel sailing team ci sono persone che hanno fatto la storia della Coppa America.
Inoltre, Max spiega anche la difficoltà di questo gioco particolare, come lo chiama lui, un gioco che consiste nel progettare una barca che deve regatare tra tre/quattro anni per due, massimo tre mesi, con tempi strettissimi e decisioni chiave da prendere ogni giorno. Forse è qui che sta il suo unico rammarico, sapere che forse, con un paio di decisioni prese diversamente, questa volta Luna Rossa poteva davvero farcela. A livello sportivo il sailing team, che aveva nel pozzetto Jimmy Spithill, Checco bruni e Pietro Sibello ha regatato in maniera incredibile, ci conferma Max. A livello progettuale, con poche decisioni diverse forse si poteva arrivare ad avere una barca superiore a quella neozelandese. Nonostante ciò, Luna Rossa è pronta per la prossima campagna di Coppa America, con Max Sirena saldamente al timone, pronto per provarci ancora, pronto per regalarsi, e regalarci, il sogno di portare in Italia la coppa delle cento ghinee.